Si può trasferire in gesto e movimento la scrittura così densa di racconto e di significato de La Tempesta di Shakespeare?
Questa la sfida dello spettacolo firmato da Giuseppe Spota: mettere alla prova la capacità della danza di raccontare una narrazione teatrale, illuminandone le storie e i personaggi in modo originale, osservandoli da nuovi punti di vista, garantendo una chiara leggibilità della vicenda originale senza rinunciare ad aprire spazi immaginativi inconsueti.
Sulle musiche originali di Giuliano Sangiorgi, Tempesta è la strada per una diffusione più capillare della danza e per rivolgerci a nuovi spettatori: segna il nostro avvicinamento al mondo del teatro.
Coreografia Giuseppe Spota
Musiche originali Giuliano Sangiorgi
Drammaturgia Pasquale Plastino
Scene Giacomo Andrico
Consulenza critica Antonio Audino
Costumi Francesca Messori
Luci Carlo Cerri
Durata 70’ – Per 16 danzatori
Produzione Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto
In coproduzione con CTB – Centro Teatrale Bresciano, Teatro Stabile del Veneto
Sostegno alla produzione Fondazione I Teatri Reggio Emilia
In collaborazione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sponsor tecnico Pro Music
PRIME RAPPRESENTAZIONI
12-13-14 giugno 2018, Milano, Piccolo Teatro Strehler
Realizzazione scene Laboratorio Fondazione I Teatri Reggio Emilia
Realizzazione costumi Sartoria Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto – Francesca Messori, Debora Baudoni e Filippo Guggia
Si ringraziano
Rossella Zucchi – Scenografo realizzatore
Giorgia Amabili – Assistente scenografo
Tommaso e Federico Fornari per la preziosa partecipazione al video di apertura
Musiche e arrangiamenti di Giuliano Sangiorgi
Prodotto da Giuliano Sangiorgi e Taketo Gohara
Arrangiamento orchestrale e direzione d’orchestra di Stefano Nanni
Registrato da Giuliano Sangiorgi, Taketo Gohara, Niccolò Fornabaio e Davide Dell’Amore presso Exit Music For, Forum Music Village e Noise Factory
Mixato da Taketo Gohara presso Noise Factory
Masterizzato da Giovanni Versari presso La Maestà
Giuliano Sangiorgi: pianoforte, marimba, vibrafoni, chitarre, tastiere, celesta, elettronica, tubular bells, basso, voci, percussioni, gran cassa e timpani
Mirko Onofrio: flauti
Orchestra Italiana del Cinema:
Primo Violino e Coordinamento Orchestra: Amori Prisca
Violini Primi: Marchi Paolo, Cangianiello Eunice, Krumova Plamena, Missiato Maurizio, Spinedi Leonardo
Violini Secondi: Madhi Elton, Shiozaki Miwa, Centurione Elena, Cacopardo Andrea, Sperandio Matteo, Merzin Altin
Viole: Cicicugno Nico, Tambè Gualtiero, Coco Mara, Chiappetta Valeria
Celli: Santisi Angelo, Muller Aleesanro, Yourina
Bassi: Raimondo Maurizio, Bassan Nicola
Trombone: Ferrari Marco Vinicio
Tromba: D’Ippolito Remo
Corno: Pecorelli Dino
Produzione esecutiva: Sangiorgi Edizioni Musicali S.r.l.
Edizioni: Sugarmusic Spa – Sangiorgi Edizioni Musicali S.r.l.
Si può trasferire in gesto e movimento la scrittura così densa di racconto e di significato di quest’opera?
Questa la sfida dello spettacolo. Quantomai ardita perché il confronto è con un testo che ha un valore particolare e assoluto in tutta la produzione di Shakespeare. Si tratta della sua ultima opera ed è considerata come il suo testamento spirituale, un addio al teatro che non a caso presenta in scena un artefice di magie che, come aveva ben capito Strehler, allude ad un creatore di meraviglie teatrali. E proprio in questo caso il drammaturgo rinnova il suo linguaggio scenico, fornisce alla vicenda un andamento narrativo ed emotivo inconsueto, rinuncia ai continui spostamenti di luoghi e di figure, al fitto intreccio di azioni, ai salti temporali. Qui c’è un solo luogo, una sola storia, e un tempo unico, così come volevano le regole aristoteliche che per la prima volta lo scrittore si trova a osservare, rendendo un volontario ultimo omaggio all’idea più pura di teatro.
La creazione coreografica si confronta con questa nitidezza, con questa linearità creativa, ma Shakespeare apre comunque infinite suggestioni, e la danza può quindi consentirsi la libertà di scartare dal testo per raccontare in altro modo, può evocare in maniera diversa, per aprire spazi immaginativi inconsueti, pur restando sempre sulla traccia della narrazione originale.
Al centro non può non restare la storia di un padre e di una figlia, Prospero, il duca spodestato dal fratello Antonio, e Miranda che vive sull’isola da quando era così piccola da non avere altri ricordi se non quelli di quel luogo. Del conflitto tra i due uomini ci arriveranno immagini come da un remoto passato in bianco e nero, e poi il lungo racconto che il padre fa alla figlia, narrandole della sua nascita nobile e dell’arrivo in quello sperduto angolo del mondo, si trasformerà in calligrafia visiva, arrivando alla tempesta che farà approdare sull’isola Antonio, il suo alleato Re di Napoli e il figlio Ferdinando, scatenata da Prospero come se fosse un grande gioco realizzato per il compleanno di Miranda, affinché l’evento cambi il corso delle cose per tutti. In questa trascrizione gestuale e di movimento il solo essere che abita l’isola, Calibano, si moltiplica, diventa un’entità multipla e complessa, sembra nascere dalle onde del mare e a quelle ritornare. Mentre Ariel non tocca mai terra, continuamente risospinto dall’elemento di cui porta il nome.
Ma c’è un passaggio centrale dell’opera su cui questa trasposizione coreografica vuole mettere l’accento. Il progetto di Prospero, all’inizio, è un disegno di rivincita: intende ripristinare il suo potere e la sua autorità ai danni del fratello e dei suoi complici. Sono poche parole di Ariel, creatura non umana commossa dalla sofferenza dei naufraghi, a fargli cambiare idea, a fargli imboccare in maniera repentina la via del perdono, cancellando il rancore, spingendolo ad architettare le nozze della figlia con Ferdinando e a rinunciare ad ogni istinto conflittuale. È un punto spesso trascurato nella lettura dell’opera. Ed è invece lo snodo centrale di tutta la produzione shakespeariana. È come se il poeta volesse rinnegare le sue tragedie di vendetta e le concatenazioni di lutti, per lanciare un nuovo messaggio più umano e profondo. Così si scioglie la vicenda, nel segno della pietà, della comprensione tra gli individui, delineando attraverso i giovani un luminoso futuro, e con l’abbandono di quel luogo da parte di tutti coloro che l’hanno temporaneamente abitato. Mentre l’isola e Calibano torneranno a essere un magma fluttuante.
Antonio Audino – consulente critico
Nello studiare il testo un’immagine mi ha condotto all’altra (come succede nella storia di Shakespeare, in un continuo effetto domino), dando la possibilità all’immaginazione di espandersi.
Una delle fascinazioni principali è stata quella dell’isola, dove un padre (Prospero) e una figlia (Miranda) trascorrono dodici anni insieme ad esseri non umani e lontani da ogni forma di civiltà. Proprio come in un viaggio, in ogni tappa il corpo e il movimento cambiano e si evolvono, attirando il pubblico dentro un mondo magico, al centro del quale si trova Calibano, servo di Prospero, legato a Miranda da un rapporto che si trasforma negli anni.
Giuseppe Spota – coreografo
Affrontare Tempesta ha significato cercare la chiave per raccontare una storia senza utilizzare parole. Ho dunque creato un’installazione di musica, all’interno della quale i corpi diventano essi stessi dialogo.
Con Giuseppe Spota c’è stata un’intesa fantastica: ho composto mentre lui e Pasquale Plastino stavano creando la drammaturgia. Quando abbiamo confrontato i nostri lavori ho scoperto una naturale sintonia, che mi ha permesso di ritrovare il mood della mia composizione.
Quando scrivevo mi muovevo molto ed è così che credo di aver visto i singoli personaggi. Per esempio Calibano ha un aspetto tribale, che ci pone davanti al suono del legno, e io mi sono immaginato, naturalmente in chiave moderna, un mostro che contiene una moltitudine di persone.
Per me c’è una felicità che i personaggi non raggiungono mai: ciò che io sento come il tema di Tempesta è, infatti, una sorta di malinconia.
Giuliano Sangiorgi – musiche originali
La grandezza dei veri classici si fonda sicuramente sulla infrangibilità del loro valore quando viene tirato da tutti gli angoli possibili delle innumerevoli interpretazioni.
L’opera di Shakespeare ne è l’esempio massimo. La regia e la drammaturgia contemporanea l’hanno letto e interpretato in migliaia di modi e certamente non tutti riusciti.
Eppure il testo resta lì imponente, granitico, autorevole, impermeabile ai graffi e alle ripetute violenze, irradiando e irretendo chiunque con la sua poeticità, suscitando sempre emozioni profonde.
Come può confrontarsi la danza con un testo scritto dove le parole restano fondamentali per scatenare sensazioni le più diverse?
Abbiamo quindi scelto di dare un “corpo” a tutto quello che nel testo viene solo detto ma non visto.
Pasquale Plastino – drammaturgia