Quello di Charles Baudelaire in I fiori del male è un unico grande racconto “bucato”. Un racconto di situazioni fatto per immagini, con delle fratture, dei fori, delle zone in cui ognuno di noi può ritrovarsi, scovando dei tratti comuni, delle fragilità condivise. La raccolta di poesie parla della bellezza dei corpi imperfetti di personaggi ai margini della società, reietti, borderline, che diventano grazie ad uno sguardo nuovo creature magnifiche. Assonanza importante con il pensiero di Balletto Civile, che da sempre costruisce i propri lavori prestando i corpi a una narrazione lirica di protagonisti che sono anti-eroi.
Lo spettacolo, dotato di una forte ritmica narrativa, determinata dai testi del poeta e da scritti originali, mette in scena un corpo a corpo tra la danza e l’atto poetico, come possibile riscrittura del mondo.
Sei le figure in scena che rappresentano le tematiche cardine: il poeta, la bellezza, il tempo, la noia, l’esilio, la rivolta, la ferita, la città, e infine la poesia stessa.
Lo spazio scenico, spoglio e materico, accoglie i personaggi come in un’unica installazione luminosa e sonora, dove i corpi attraverso geometrie di esistenze ai margini producono immagini forti, prorompenti che come tagli in una tela cercano di lasciare un segno grafico nella retina visiva dello spettatore, attraverso un linguaggio prima solitario e poi di architetture condivise, che confondono il sentire personale alla ferita condivisa della comunità.
L’artista riesce a vedere tutto ciò che è meraviglioso ma non può non sentire sulla sua pelle anche il terribile del mondo, non possiamo nasconderci da questo rischio. Baudelaire è il primo poeta contemporaneo che ha registrato sulla sua pelle non solo l’altezza ma anche il sacrificio e la meschinità al quale è sottoposto l’artista, e ha fatto di questa riflessione un’opera d’arte.