Don Juan: intervista a Johan Inger
IL DON JUAN DI JOHAN INGER:
“Nulla può arrestare l’impeto dei miei desideri”
DI MARIA LUISA BUZZI
Inger, domanda scontata, ma punto di partenza imprescindibile: il suo “Don Juan” sarà un lavoro narrativo in senso tradizionale?
Sì, sarà un titolo narrativo. Tradizionale? Non vorrei. Quando affronto una creazione narrativa mi sforzo di trovare una mia visione, un motivo, una ragione che giustifichi la voglia di affrontare quel particolare personaggio letterario. Penso e spero che non sarà tradizionale pur nella fedeltà alla storia. Ci sono così tanti Don Giovanni realizzati! Con il mio drammaturgo Gregor Acuña-Pohl siamo arrivati alla consultazione di venticinque diversi testi ispirati al personaggio. Non pochi direi! Prenderemo spunto da diverse versioni e autori.
Glielo chiedo perché nel suo ricco repertorio di creazioni realizzate per le principali compagnie del mondo non ci sono molti titoli ‘narrativi’. A memoria, una “Carmen” di successo creata per la Compañia Nacional de Danza di Madrid, poi entrata nel repertorio al Balletto dell’Opera di Dresda, un “Peer Gynt” per il Balletto di Basilea e un “Petrushka” creato per Les Ballets de Monte-Carlo. Cosa l’ha spinta verso la figura di Don Giovanni?
È vero, non ho realizzato molti titoli narrativi fino ad ora…
Ho scelto di indagare la figura di Don Giovanni perché penso sia una grande sfida confrontarsi con un mito, e forse lo è anche di più con Don Giovanni per il suo carattere molto discutibile. Avvicinarmi a un personaggio complicato come Don Giovanni mi spinge a mettere in discussione il comportamento maschile. Penso che sarà intrigante cercare di incontrarlo, non difenderlo ma magari spiegarlo.
Quali allora le fonti di riferimento?
Io e il drammaturgo (Gregor Acuña-Pohl, ndr.) abbiamo discusso molto. Nei mesi preparatori abbiamo letto le versioni di Bertolt Brecht, di Molière ovviamente, la commedia originale di Tirso de Molina, ma ci siamo rivolti anche ad altro: un’interessante opera teatrale di Suzanne Lilar (‘Le Burlador’, una rivisitazione del mito di Don Giovanni in chiave femminista, ndr.), che ci ha molto stimolato.
Mi dica di più: chi è il suo Don Juan?
Il mio Don Juan porta con sé un trauma, che lo ha plasmato nel suo discutibile comportamento. Non è in grado di impegnarsi e può trovare soddisfazione solo nel qui e ora. Ha una personalità tendente alla dipendenza. Don Juan riflette sulle sue azioni? È qui che Leo entra in gioco nel nostro concept, si contrappone a Don Juan e attraverso di lui abbiamo cercato di creare uno specchio.
Lettura psicanalitica…Il pensiero corre a Ingmar Bergman, alla sua cinematografia psicologica-analitica e anche a Mats Ek, autore per altro di una versione teatrale di “Don Giovanni”. Sente delle affinità con i suoi connazionali?
Io sono cresciuto con questi due artisti e loro sono stati una grande fonte d’ispirazione, soprattutto Mats Ek, che considero un padre artistico. Sebbene il nostro Don Juan possa essere letto anche in chiave psicanalitica, non ci sono riferimenti alla poetica di Bergman. Riguardo alla pièce di Mats Ek, non ho avuto il piacere di vederla, per cui non saprei. Il nostro protagonista cerca la madre in ogni incontro con l’altro perché lei lo ha lasciato da piccolo. Non sappiamo per quale motivo e in che modo ma siamo certi che l’abbandono abbia determinato nel piccolo Don Juan un grande vuoto interiore e un’immaturità nella sfera emotiva, sentimentale. Per colmare questo vuoto, per far fronte alla separazione dal ventre materno Don Juan ha bisogno di collezionare grembi femminili. C’è una frase nel testo di Molière cardine a questo proposito: “Nulla può arrestare l’impeto dei miei desideri: mi sento un cuore capace d’amare il mondo intero e vorrei, come Alessandro, che ci fossero altri mondi ancora per potervi estendere le mie conquiste amorose”.
Il fatto che non riesca a impegnarsi seriamente in alcuna relazione lo rende vuoto e superficiale. È anche spietato il suo Don Juan?
In verità non è un ‘carnefice’ anche se, man mano che scivola in più guai, finisce per diventare un assassino. La drammaturgia abbraccia la versione di Suzanne Lilar di cui le accennavo prima: Don Juan è un giocattolo nelle mani delle donne, è una ‘vittima’. Lui riesce a dare alle donne che incontra quello che loro vogliono: a Zerlina l’ultima avventura prima del matrimonio e della vita coniugale; a Tisbea l’illusione che sia lei a condurre il gioco sessuale; a Donna Ana la passionalità e il piacere che il marito Ottavio non sa darle. Don Juan si adatta alle donne…
Presentato così, sembra proprio che il suo Don Juan non scenderà all’inferno…
Il personaggio potrebbe essere interpretato in senso religioso come nella pièce originale, in cui si parla della dicotomia tra paradiso e inferno e dove Don Giovanni viene condannato per aver ucciso il padre della fidanzata e per aver spezzato tanti cuori, ma per noi non sarà così. La nostra concezione atea del mondo ci porta a trovare il giudice in noi stessi. Così nel nostro Don Juan non vedremo la caduta all’inferno di un peccatore, ma lasceremo aperta l’interpretazione allo spettatore. Forse Don Juan finalmente, troppo tardi, prende coscienza dei suoi crimini e si arrende voracemente al suo destino fatto di vizi e fantasmi del passato? O è solo vittima di qualcosa di più grande di lui? Non voglio rivelarlo. Ma posso dire che nella mia versione Don Juan ha diverse opportunità e possibilità di sfuggire al giudizio e di cambiare grazie a Leporello.
In che termini questo legame tra Don Juan e Leporello ci riporta al tema del giudizio?
Nel senso che sono l’uno l’alter ego dell’altro. Leporello non è un servo nella nostra versione, sarebbe inattuale come figura. Per noi Leporello, che chiameremo Leo, è il lato virtuoso e puro, di Don Juan che invece è arrogante, spavaldo e sempre in fuga. Leo sa che Don Juan sta sbagliando, cerca di distoglierlo dalle azioni malvagie ma non viene ascoltato.
E il Commendatore ci sarà nella sua versione?
La figura del Commendatore coincide con la madre di Don Juan, l’unico vero ‘giudice’ della sua vita. Tanto che nella scena dello stupro della giovane Ines (una studentessa liceale) Don Juan inconsciamente vede la madre al posto della ragazza, e in quel momento capisce che sta sbagliando. E come se sentisse la madre sussurrargli: “Cosa stai facendo, figlio mio?”.
Basterà l’ammonimento materno per fermarlo?
No, no, è troppo tardi! Immaginiamo un tossicodipendente, lui sa quell’iniezione di droga potrebbe ucciderlo, ma la prenderà comunque. Il rimorso dura pochissimo. È un “addict”, un “drogato” e continuerà a cercare la sua prossima “dose”. E anche quando all’improvviso compaiono i fantasmi delle sue vittime, lui rimane impassibile.
Parliamo della musica commissionata al compositore Marc Álvarez a partire dalla versione di Christoph Willibald von Gluck.
Marc Álvarez sta componendo una partitura completamente nuova, con qualche riferimento a Gluck. Ci stiamo lavorando. La verità è che il compositore è riluttante a utilizzare soltanto la musica di Gluck. Il processo è in pieno svolgimento, ma l’orientamento è quello dell’inserimento di riferimenti melodici delle versioni del passato nella nuova partitura, per relazionarci con la storia pur pensando a qualcosa di totalmente nuovo, a una composizione originale.
Una partitura originale per orchestra?
Insieme alla Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto valutiamo la possibilità di orchestrare la partitura di Álvarez per poter rappresentare lo spettacolo anche con orchestra dal vivo.
Riguardo all’allestimento, Curt Allen Wilmer, il suo scenografo, cosa ha ideato?
Lo spazio scenico non ha connotazioni definite dal punto di vista geografico o storico. Sarà moderno e neutrale con elementi scenici semoventi: nel corso dello spettacolo diventeranno sempre più neri a simboleggiare lo stato di perdizione progressiva di Don Juan. Al contrario per i costumi (di Bregje van Balen, ndr.) stiamo lavorando a precise connotazioni e fogge. Mi immagino un mix intrigante di moderno e passato, del resto mi è sempre piaciuto giocare con i contrasti e i ribaltamenti del piani. Un esempio: nella scena del carnevale Don Juan, il cattivo, è vestito da angelo mentre Leo, il buono, da diavolo.
“Don Juan” è una creazione per tutta la compagnia?
Sì, lavoro con l’intero organico di Aterballetto, sedici danzatori, alternando i ruoli solistici e il gruppo in due diversi cast in modo che tutti possano sentirsi parte integrante della produzione. Immagino Don Juan come un Kammerspiel, e vedo tre grandi momenti corali: il matrimonio, il carnevale e la scena finale. Per il resto sto creando scene più intime. Sono contento di lavorare con una compagnia di dimensioni contenute: mi consente un’indagine più approfondita sugli aspetti psicologici di ciascun personaggio.
I ballerini di Aterballetto sono coinvolti nel processo creativo?
Certamente! Sebbene il mio metodo di lavoro si basi sull’entrare in sala prove con idee molto chiare, non preparo i passi prima e nell’incontro con i danzatori chiedo loro di seguire nel movimento il mio pensiero, di condividerlo. Ma non si tratta però di un lavoro di improvvisazione: non chiedo di restituirmi movimenti, né fornisco loro dei tasks.
Quale per lei la relazione tra musica e composizione?
Per me la musica è estremamente importante. Mi ispira e mi guida nella composizione. Lavorare su una partitura originale come in questo caso rende il processo complicato e più ‘cieco’. Dobbiamo partire dalla drammaturgia e dalla singole scene per poi trovare la musica adatta insieme al compositore. Processi paralleli che comportano un lavoro più articolato e indubbiamente… più struggente! Molto diverso dal realizzare ad esempio una Carmen sulla musica di Bizet, dove la partitura è sicuro riferimento.
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